
Associazione "La Mano Sulla Roccia"
1° INCONTRO DEL 26-09-2018 al “Giardino del Poeta”
Cominciamo quest’incontro con un proposito: "Bando alle situazioni di negatività!". Cerchiamo di metterci sulla linea della positività recuperando la consapevolezza e la certezza che è possibile costruire ciò che è funzionale alla gioia. Purtroppo, questa parola è abusata, si usa solo per le favole che raccontiamo ai bambini: "E tutti vissero felici e contenti!"...
Ma una persona anziana non racconta mai della sua gioia. Allora le parole "gioia" e "felicità" finiscono per diventare desuete dal linguaggio comune, mentre alla felicità tutti quanti tendiamo inesorabilmente. Anche quando non pronunciamo questo termine, il nostro cammino va sempre verso la gioia, la felicità, la beatitudine.
Il filosofo Immanuel Kant diceva che la felicità è un fatto immaginario, non è un fatto razionale. Dopo di lui c’è stato l’accantonamento di questo discorso nonostante l’istanza diffusissima di popolazioni intere che sono legate alla ricerca della felicità.
Specialmente in questo periodo di consumismo che è sempre più orientato al benessere che coincide con il ben-possedere, con il ben-avere, il discorso finisce per essere fuori della nostra portata. Infatti i governi non parlano mai di felicità, perché questa terminologia sfugge alla ricerca filosofica.
L’abbigliamento è "l’habitus" e l’abito coincide con l’identificazione della persona che è in stretta relazione con il suo stile. Lo stile della persona è il suo linguaggio; il suo linguaggio è la sua parola; la sua parola nell'attualizzazione totale porta il soggetto a una dimensione ontica tale da identificarsi con l’aspetto ultimo della realizzazione umana.
Per "aspetto ultimo" non si intende quello cronologico, cioè successivo, ma l’aspetto ontologico di perfezionamento. "Ultimo" è quello che viene dopo e perciò è più perfetto, è meglio fatto, è la rifinitura di un lavoro, è l’ultimo tocco del quadro. Allora la "fase ultima" va intesa da un punto di vista assiologico, valoriale, non cronologico, che avviene dopo, perché può anche avvenire dopo ed essere peggio di quello di prima. Invece, quando diciamo "ultimo", teologicamente e filosoficamente intendiamo le cose finali.
Dante Alighieri finisce l’ultimo canto del Paradiso della Divina Commedia con: "E vidi pinta della stessa effige, l’amor che move il sole e le altre stelle". Il che significa che la persona quando trova il suo habitat, non solo ecologico, ma il suo “abito” identificativo, ha raggiunto il culmine della sua realizzazione che coincide con la beatitudine.
Adesso prendo lo spunto da un passo del Vangelo che conosciamo molto bene, facendo il tentativo di aprire il varco ad una interpretazione approfondita, perché non coinvolge tanto oggettivamente quello che sta scritto, ma molto di più quello che nel territorio del nostro cuore può insorgere. Il nostro cuore è l’organo più vitale che ci sia perché è in perenne movimento, notte e giorno. Mentre alcuni organi sono soggetti a fasi di riposo, il cuore no, non ha sosta. Nel nostro cuore, c'è il terreno dove si vanno a depositare le parole. Se vengono conficcate, il soggetto le respinge, perché vengono registrate come un'invasione di campo e, quindi, come elementi da repellere. La repulsione è l’atteggiamento più comune quando si verificano delle invasioni di campo.
Ecco perché il soggetto dell’educazione è il soggetto stesso. Non è l’altro che educa, è la generazione che si educa e si evolve. Fondamentalmente l’educazione è un processo storico: storia personale e storia collettiva, ma la storicità è un fatto pedagogico perché attraverso le esperienze e la saggezza pregresse, l’uomo può evitare di fare determinate cose.
Se la storia e, quindi, il processo educativo fossero presi in considerazione, noi non avremmo una quantità di difetti nella struttura societaria.
Il passo del Vangelo secondo Giovanni (4,1-27)) dice:
1 Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni 2 - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, 3 lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea.
Pensate: i farisei che sono i religiosi del tempo, i più attenti al fenomeno della spiritualità secondo il modello culturale e societario dell’epoca, si lamentano perché Gesù faceva più discepoli di Giovanni, quindi coglievano in Lui la pericolosità per loro.
Provate a vedere il cuore in che posizione si pone di fronte a un evento che è contrario a quello che s’aspetta: si mette in repulsione. Dunque, i farisei assumono un atteggiamento di repulsione nei confronti di Gesù.
Ora dobbiamo fare attenzione ai passaggi. L’attenzione è direttamente proporzionata al rendimento cognitivo. Più uno è attento, più rende. Se l’attenzione diventa tensione, si blocca il rendimento. Se la tensione diventa ansia, retrocede il rendimento. Se l’ansia diventa panico, precipita il rendimento. Se il panico diventa disperazione, si supera il punto critico e si va verso l’azzeramento del rendimento. Per avere un'ottimizzazione del rendimento, bisogna avere la distensione come atteggiamento. Se l’ambiente è conosciuto ed accogliente, il soggetto si distende automaticamente.
Da una ricerca psicopedagogica emerge che un bambino che cresce in un contesto familiare, ha uno sviluppo più precoce di due o tre anni rispetto a un bambino che cresce in un orfanotrofio, perché in istituto si sta sotto controllo, a casa, invece, si è accolti amorevolmente. Quando vogliamo ottenere dei buoni risultati, quindi, dobbiamo cercare di creare il clima per un buon apprendimento e questo non è dato tanto dall’attenzione, ma dalla distensione. Se uno sta disteso, apprende meglio.
La nostra vita è l’atto ultimo assiologicamente inteso. E' il momento epigonale della nostra realizzazione. Queste cose le ripeto spesso in modo che ascoltandole più volte, entrano nella pratica della nostra vita.
Stavamo dunque considerando come i farisei avrebbero dovuto essere quelli più disponibili al messaggio di Gesù. Invece, Gesù in loro trova un muro.
Il fariseo non è solo quello di duemila anni fa, ma è quella parte di noi che assume un comportamento repulsivo. Se dentro di noi avviene questo, vuol dire che c'è una parte farisaica.
Nel IV cap. del Vangelo di Giovanni i farisei, dunque, prendono atto che Gesù battezzava più di Giovanni Battista sebbene non fosse Lui in persona a battezzare, ma i suoi discepoli.
Gesù non entra in una dimensione di contrapposizione con Giovanni, ma si mette in una posizione di partecipazione ai discepoli, quindi non agisce monopolizzando, ma allargando la partecipazione. Il che significa che crea un clima di distensione, perché non c’è antagonismo.
1 Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni 2 - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, 3 lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4 Doveva perciò attraversare la Samaria.
5 Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c'era il pozzo di Giacobbe.
Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».
8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi.
9 Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.
10 Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
11 Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?».
13 Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
15 «Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
16 Le disse: «Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
17 Rispose la donna: «Non ho marito».
Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito"; 18 infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
19 Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
21 Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa».
26 Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna.
Ho letto piano piano perché i punti da scandagliare sono tanti. La prima cosa da fare è un gesto di liberazione della mente per non leggere questo passo in chiave moralistica. Questo testo non va inteso come se Gesù volesse dare un insegnamento morale.
La donna dice la sua posizione, ma non dice la sua verità. Gesù vuole farle capire una cosa molto diversa e, cioè, che non è rilevante quanti uomini abbia avuto, ma che lei nonostante questo, abbia ancora sete. Lui non vuole rimproverarle il numero di uomini che ha amato, ma le vuole dare un'acqua che le tolga la sete: "Per avere quest’acqua devi passare dall’amore passivo all’amore attivo, perché se il tuo amore diventa attivo non avrai più sete in eterno e diventerai tu stessa sorgente di vita. Diventerai persona nella quale gorgoglia la vitalità, perché hai trovato la tua identità, perché hai trovato che cos’è per te l’incontro con te stessa e con gli altri. Se non avviene quest’incontro, nonostante il numero dei mariti, perdi tempo".
Gesù fa capire alla donna che se lei non vuole entrare in contatto con Lui, non può conoscere che cos’è l’incontro. Infatti, è l’incontro con il Tutto che elimina il conflitto e il precario. La gioia nasce dall’eliminazione della conflittualità del precario.
Per esempio, l’esperienza dell’innamoramento è totalizzante, elimina il conflitto nell’incontro con il Tutto che corrisponde con l’Assoluto.
Gesù cerca di parlare alla Samaritana, di portarla per mano (liberandola dal conflitto religioso circa il luogo dove adorare Dio) per offrirle e farle conoscere il dono che Dio le vuole fare e chi è Colui che le parla, perché è solo quando accogliamo le parole dentro di noi che queste diventano nostre, altrimenti non arrivano, vengono respinte.
In merito, consiglio di leggere il libro "Storia dei semi" di Vandana Shiva, che ha fatto uno studio sui semi. Il seme è una sintesi del passato che messo nella terra, porta con sé la memoria dei secoli antecedenti e si predispone al futuro.
Questa realtà noi non la riusciamo a capire. La parola che ci genera ci dà la possibilità della realizzazione. E' la nostra parola. Tutte le parole che ci vengono immesse sono fuochi fatui, l’unica che ci appartiene è quella pronunciata da noi non verbalmente, ma ontologicamente, nella naturalità del nostro essere.
Per questo la gioia non è quella che si legge nei libri, ma è quella che si sperimenta. La gioia è la sintesi della personalità, è la realizzazione piena che ci fa uscire fuori dal tempo e il tempo messo al confronto con la gioia diventa un tempo... senza tempo.
Proviamo a pensare cosa significa per i ricercatori fare una scoperta: hanno una gioia immensa! Che cosa significa per una persona che ha perso una cosa preziosa, trovarla dopo averla cercata a lungo rassegnandosi alla perdita... Oppure incontrare una persona dopo molti anni... Perché le relazioni si svincolano dal tempo come nel caso di una mamma che ritrova il figlio disperso in guerra dopo decenni... Queste cose si possono capire solo se si sperimentano.
Questo passo del Vangelo di Giovanni ci fa capire come la cosa fondamentale non è correre dietro a cose che stanno fuori di noi, ma riuscire ad entrare nel nostro intimo profondo, perché il nostro inconscio è radicato profondamente nella storia dell’umanità.
La persona, in quanto tale, è la risultante di un percorso evolutivo lento e lungo. Noi non ce ne accorgiamo, ma dentro le nostre cellule c’è la memoria di secoli e secoli, millenni e millenni di storia di processi evolutivi. Quando arriviamo a prenderne consapevolezza, purtroppo questa è disturbata da un bombardamento culturale di cose superficiali che non ci danno l’opportunità di andare ad indagare nella profondità del nostro essere.
Il passo che abbiamo letto dice di un pozzo di cui gli altri evangelisti non scrivono. Perché? Perché è una elaborazione psicologica dell’apostolo Giovanni. Il pozzo rappresenta la profondità del nostro essere. L’acqua che zampilla fino alla vita eterna sta dentro di noi, la parola che dobbiamo cercare siamo noi stessi. Se affondiamo nelle radici del nostro essere, nella consapevolizzazione del sé, non ci lasciamo poi scalfire da alcuno che voglia turbare la pace interiore.
Come si raggiunge questo? Anche noi stiamo facendo il tentativo di andare a pescare nel pozzo. La Samaritana vi andava ad attingere, ma rimaneva assetata mentre Gesù le dice: "Io ti voglio dare un'acqua viva".
Ma ci siamo chiesti se Gesù ha poi bevuto l’acqua del pozzo? No, perché Giovanni usa dei simboli. Era mezzogiorno, cioè la luce era all'apice e Giovanni presenta Gesù come "luce del mondo"...
La Samaritana, allora, rappresenta ognuno di noi che ha difficoltà a scendere e prendere l’acqua nel proprio pozzo perché si accontenta dell’acqua che gli danno.
Purtroppo questo dimostra come siamo catalogati e messi in situazioni nelle quali la nostra realtà non deve e non può emergere. Qui dobbiamo capire come tutta la nostra cultura fondata sulla scuola non ha nulla a che vedere con la crescita della persona, perché la persona, per essere tale, deve privilegiare la sua originalità. Ecco perché c’è l’arte del vivere. Noi siamo rovinati dalle concettualizzazioni e, in forza di queste, collettivizziamo massificando. La massificazione è la rovina della relazione perché cancella l’identità personale. L’abito può essere pure una divisa uguale per tutti, ma l’universo di ognuno di noi è talmente diverso!
Se volessi relazionarmi a trenta, quaranta persone, dovrei avere l’umiltà di non considerarle un uditorio. E' facile massificare la classe, ma in essa ci sono tante persone e ognuna è un universo variabile...
Gesù s’incontra con la Samaritana per farla entrare nella profondità del proprio pozzo dove c’è l’acqua viva che una volta trovata toglie la sete per sempre.
Abbiamo detto che questo episodio non c'è negli altri Vangeli, perché sono elaborazioni personali dell’apostolo Giovanni. Quando abbiamo la possibilità, cerchiamo di leggere non solo il Vangelo di Giovanni, ma anche come Dio parla a noi, perché Lo fa in mille maniere, così come sta scritto nel prologo della lettera agli Ebrei.
Se l’uomo non vuole sentire, non servono parole, ma se invece vuole, da una sola parola può trovare lo spunto per entrare nel possesso pieno di sé ed eliminare la conflittualità della contingenza nell’incontro con il Tutto.
Ogni incontro deve passare per un rapporto empatico. Se quello che io vi dico non passa per la mia accoglienza profonda e assimilata, non può giungervi. Dal punto di vista psicopedagogico, la lezione frontale comporta una sorta di messa in discussione della persona che parla e della persona che ascolta, altrimenti la relazione non si instaura, ma finisce per dare una dimensione conoscitiva, come se si leggesse un libro, ma i libri non hanno l’effetto dell’incontro.
Se la Chiesa Cattolica ha perso valore è perché non s’incontra più con le persone. Se non c’è l’incontro, non c’è la costituzione della comunità. Quando si fa un incontro, non si trasmette solo un contenuto, ma si trasmette il metamessaggio che è un messaggio non verbale, non detto esplicitamente. E' il contesto con cui si dice che è molto più efficace del testo esplicito, del denotato. Il contesto è il come ed è molto più importante.
Noi assorbiamo la nostra modalità di vita dal contesto socio ambientale. Siamo prigionieri di modelli culturali che abbiamo talmente interiorizzato dandoli per scontati, che non ci accorgiamo più di fare cose fuori natura, che non hanno senso, che producono malessere. Allora ci dobbiamo rendere conto che, così facendo, la persona non ha il territorio per attingere al pozzo, motivo per cui diventa quasi impossibile per noi pensare di avere un clima corrispondente alla nostra naturalità. Perciò dobbiamo andare a recuperare attraverso un lungo percorso, la possibilità di stabilire tra di noi un rapporto corretto, tranquillo, sereno e rilassato.
Questo discorso è diffusissimo. Si dà per scontato che siamo obbligati perché ci siamo organizzati in un modo talmente lontano da quello che vogliamo per cui c’è una situazione d’invivibilità.
Jean-Jacques Rousseau nell’"Emile" dice che l’uomo è fatto per essere libero, però nel momento in cui si mette assieme agli altri deve fare il contratto sociale. Si deve... contrarre. La contrattura, se non viene bilanciata tra la propria autenticità e libertà e quella che è l’esigenza della vita comune, vuol dire che è priva della calibratura tra l’esigenza di appartenenza e l’esigenza di libertà.
Questi due poli sarebbero componibili in un contesto d’amore, cioè dal passare dall’amore passivo all’amore attivo (che significa mettere in pratica: "Ama il prossimo tuo come te stesso”), ma noi dimentichiamo di amarci. Questo non è un compito oneroso ma gioioso perché c’è la soddisfazione di stupirci di noi stessi nel realizzarlo.
Nelson Mandela, premio Nobel per la Pace, diceva di non lamentarsi quando non si riesce in una cosa, ma di pensare di essere capaci di fare cose più grandi di quelle che si pensano di poter fare...
All’inizio dell’incontro ho fatto una premessa: "Bando alle negatività". Mettiamoci allora sulle linee della positività.
"Come mi puoi dare l’acqua - chiede la Samaritana a Gesù - se non hai il secchio e il pozzo è profondo?". Gesù le dice: "L’acqua che io ti voglio dare è diversa e se tu vuoi, puoi attingerla, perché l’acqua di cui parliamo, io già l'ho messa dentro di te e puoi farla sgorgare se non la tappi". Noi, infatti, tappiamo la nostra originalità, la nostra preziosità, la nostra genuinità.
C’è un bel libro di Marcella Danon "Il potere del riposo" che dice di lasciarsi essere come si è, di cercare di eliminare il divario assiologico tra il reale e l’ideale. In effetti, ci hanno inculcato di "dover" essere in un certo modo e se non siamo così, scatta il senso di colpa che ci fa credere di andare all’inferno! Il "potere del riposo" è l'eliminazione del ricorso alla religiosità. La Samaritana chiede in quale luogo bisogna adorare Dio. Gesù risponde: "In nessun luogo, ma in spirito e nella tua verità, dentro di te".
Il problema è quello di saper riconoscere la propria verità. Per riuscirci, bisogna spogliarsi di tutti i vestiti, di tutte le incrostazioni, delle culture, delle sovraculture, delle strutture, delle sovrastrutture, ecc.. Quando arriviamo ad essere noi stessi, ci rendiamo conto dell'inutilità del bagaglio che portiamo.