Associazione "La Mano Sulla Roccia"

27 marzo 2019 - ore 18,30 al "Giardino del Poeta" "EFFICACIA DELLA SCUOLA NELLA SOCIETA' CONTEMPORANEA" (trascrizione)

27 marzo 2019 - ore 18,30   al "Giardino del Poeta" "EFFICACIA DELLA SCUOLA  NELLA SOCIETA' CONTEMPORANEA" (trascrizione)

27 marzo 2019 - ore 18,30

 al "Giardino del Poeta"

via Solimena, 92 - Napoli

 

INCONTRO SUL TEMA:

"EFFICACIA DELLA SCUOLA

NELLA SOCIETA' CONTEMPORANEA"

con riferimento alle "beatitudini" come primo modello di insegnamento

 

INTERVENGONO:

Antonio Maione, psicologo, pastoralista, presidente dell'Associazione "La Mano sulla Roccia".

prof. Lorenzo Tommaselli, docente di lettere classiche al liceo "Alfonso Maria de' Liguori" di Acerra (NA)

Segue un dibattito con il pubblico.

TRASCRIZIONE:

   

ANTONIO MAIONE:

 

La crisi della cultura moderna è, in sostanza, la crisi dell’uomo alla conseguente domanda che si pone sul senso della vita. La scuola ha il compito di presentare risposte al problema del senso, accompagnando l’uomo nella sua progressione dall’età infantile all’età adulta.

La scuola si fonda sui maestri e sui professori: "Maestro" viene da  "magis-ter" che significa  il "più grande".

Ma in che cosa il maestro è il più grande? Nell’esperienza, perché si propone  all’alunno che viene alimentato (stessa radice "al") e, quindi, nutrito perché possa crescere e diventare adulto.  

Il professore, invece, è quello che dichiara, che fa una proposta o di scienza o di arte nobile. Fondamentalmente è il "profiteor", cioè "colui che parla apertamente dinanzi a te e dichiara qual è il senso della vita", altrimenti non può essere professore.

La crisi della cultura contemporanea e, quindi, della scuola nasce dalla scomparsa della figura di maestri e professori perché la valanga di realtà informazionali è talmente eccedente per cui i cosiddetti alunni sono così sovraccaricati che assumono un comportamento di distanziamento dalle notizie. La scuola, quindi, non ha alcuna incidenza nella società  contemporanea  proprio perché il bagaglio delle informazioni è talmente grande che i fruitori della scuola (gli alunni) assumono un atteggiamento difensivo per non essere subissati dal flusso eccessivo delle informazioni.

La realtà informazionale, cioè, è diventata talmente eccedente alla sopportazione delle persone sottoposte al bombardamento invasivo dei social, per cui queste persone non sono più disponibili ad accogliere alcun tipo di messaggio. Pertanto, c’è un'opposizione del soggetto all’invasione dell’informazione.

L'esistere degli alunni, dei fruitori della scuola è un dato di fatto. Il senso della vita non l’abbiamo chiesto noi, perché noi abbiamo ricevuto la vita. Coglierne il senso è un'arte che va appresa. La scuola è la palestra dove si dovrebbe apprendere l’arte del vivere. Ma l’arte del vivere a che cosa è finalizzata? È finalizzata unicamente alla conquista della felicità per cui se una scuola non orienta gli alunni al possesso pieno della felicità che nella protrazione è beatitudine, la scuola si trova ad essere fallita.

Il 15 febbraio 2014, Papa Francesco, parlando ad una componente scolastica in piazza San Pietro, disse: "La scuola ha il compito di imparare ad imparare",  ma la cosa meravigliosa è che aggiunse: "Quest’espressione è di un grande pedagogo: don Lorenzo Milani".  

Don Lorenzo Milani,  nel 1967, subì un processo con l’accusa  di istigazione alla diserzione e nell’ottobre dello stesso anno fu condannato, ma in appello ebbe la pena sospesa per... "morte del reo". L’Arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit, suo superiore, voleva ridurlo allo stato laicale perché un po’ di tempo prima del processo, nel 1958, Don Milani aveva pubblicato "Esperienze Pastorali" che fu messo all'indice per un giudizio del Sant’Uffizio e che solamente adesso Papa Francesco ha tolto dai libri proibiti riabilitandolo. "Esperienze Pastorali" fu proibito perché  indice di un sistema educativo molto importante.

C’è un libretto di specializzazione psicopedagogica di  Sabadel "Educhiamo". Il sistema educativo è scritto tutto nella  pagina di copertina che raffigura la sagoma di un bambino in bianco che è il colore dell’anafettività, dove la passionalità è mutilata perché è a mezzo busto, non c’è la parte di sotto; non sono disegnate le braccia che sono gli organi di relazione; la testa è deformata e presenta delle impronte digitali perché subisce le impressioni che vengono dall’esterno; i tratti ricurvi verso il basso degli occhi e della bocca  denotano un'espressione triste ed angosciata.

 

Tutto questo produce una sorta di tomba per la persona mentre questa è "supersuono", tendente all’espansione, e non può essere intrappolata nella gabbia o nel sarcofago ("sarx" e "fago" che significa  "mangiatore di carne"). La chiusura produce una grande aggressività perché frustra la persona.  Il sistema educativo non è rispettoso del progresso permanente della persona. Per questo la società è altamente aggressiva. Invece, la persona si consola quando riesce a trovare tra le sue finalità la meta ultima che è la felicità. Una scuola senza la dialogalità è una scuola morta. Allora, se vogliamo aprire il varco ad una sostituzione per cancellare le malefatte del sistema educativo, da queste riflessioni ci accorgiamo che Don Milani ha aperto un'era perché il libro "Lettera ad una professoressa" (1967)  è stato  il lasciapassare a ciò che sarebbe stata la stagione del ’68 italiano.

Questo è solamente un tratto introduttivo alla relazione che il nostro amico Lorenzo stasera svilupperà sul tema.

 

LORENZO TOMMASELLI:

 

Agganciandomi al discorso introduttivo di Antonio, come insegnante sono chiamato in prima persona a rispondere della figura del professore nella scuola. Non mi trattengo molto sulla scuola perché la  problematica è ampia ed è esperienza di tutti vedere come la scuola oggi vive una crisi che non c’è mai stata prima perché vent’anni di riforme sciagurate l’hanno devastata, in modo particolare l’ultima, quella che tutti chiamano "buona scuola",  ma che poi tanto buona non è, perché non prevede la centralità dell’alunno.

Il tema di cui parleremo stasera sono le  "beatitudini",  cioè la ricerca della felicità. Questo è il progetto di Gesù che dovrebbe essere anche quello della scuola, ma c’è un problema: a scuola ci sono le conoscenze che bisogna avere perché altrimenti  non potremmo parlare di niente, nemmeno delle cose che stiamo  dicendo stasera. Quindi, le conoscenze servono, ma il sistema mondiale non vuole che la scuola funzioni e produca delle persone critiche e pensanti perché per fare questo ci vogliono stanziamenti economici, impegno e responsabilità dei docenti che, come categoria, invece, tende ad accettare passivamente tutto ciò che viene deciso dall’alto, per esempio, come nel caso dell’ultima riforma sull’esame di maturità presentata quest’anno in pieno corso di studi, cosa mai accaduta prima e su questo ci sarebbe da riflettere.

Però stasera vorrei parlare del progetto di Gesù che  sono le "beatitudini". Papa Francesco nell’estate del 2013, nel suo primo viaggio internazionale, andò in Brasile per "La giornata mondiale della gioventù" e disse ai giovani che l'essenza del vangelo è concentrata nelle "beatitudini" e nel "giudizio universale". Quest'ultimo è un testo che nel corso della storia è stato strumentalizzato presentando un Dio punitivo, mentre il Dio di Gesù - e  Papa Francesco non si stanca di ripeterlo - non è un Dio che manda all’inferno. Ma questa, purtroppo, è una convinzione molto diffusa e difficile da sradicare dalla mentalità di molte persone che non  accettano un Dio come ce lo fa vedere Gesù. E' più facile trasferire in Dio il proprio pensiero di giustizia che richiede la certezza della pena, ma questo non è compito di Dio.  Questo è il compito di una Repubblica, di uno stato democratico che deve applicare la giustizia con la funzione rieducativa e la certezza della pena. 

Nel vangelo le "beatitudini" che sono il cuore pulsante del messaggio di Gesù, invece sono trascurate dalla Chiesa che le presenta una sola volta all’anno, il 1° novembre festa di ognissanti, per cui chi le ascolta in quel giorno, non riconoscendosi "santo", non si sente destinatario del messaggio. Ma non è così! Bisogna convincersi che  il messaggio di Gesù non è per pochi eletti. Anche se, purtroppo, nella Chiesa, tra i preti o addirittura tra i religiosi, c’è chi vuole far credere di essere un gradino più in alto rispetto agli altri. Non è vero! Papa Francesco continuamente, attraverso i suoi gesti, le sue parole, e facendosi chiamare per nome, testimonia di non essere superiore, ma uguale agli altri mettendosi al servizio come Gesù.  Per questo motivo, è odiato tanto dal sistema ecclesiastico.

Ma Gesù nel suo insegnamento propone un cammino di felicità. Il verbo "insegnare" nei vangeli viene usato solamente per Gesù che è la fonte  dell’insegnamento e non per gli apostoli che "annunciano" la sua Parola.

Allora, quando noi parliamo del maestro "magis-ter", questo è un termine che non va inteso come esercizio di potere, ma come servizio per gli altri. E' più giusto, quindi, usare il termine "minis-ter" che significa "servo".

Le beatitudini del vangelo di Matteo sono un capolavoro letterario che vanno interpretate correttamente per dare il senso di come sono state scritte superando le difficoltà che, purtroppo, nascono da una scorretta traduzione.

Stasera cercheremo di capire il significato delle beatitudini e come Matteo ha scritto il suo vangelo per gli Ebrei, facendo paralleli con la storia di Mosè per far capire loro che Gesù non è un fedele continuatore di Mosè, ma rappresenta una novità per tutta l’umanità.  

La tradizione giudaica riteneva che Mosè avesse scritto i primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco. Nel vangelo di Matteo i grandi discorsi di Gesù sono cinque e non è un caso.

Mosè era stato salvato dalle acque e dalla strage ordinata dal faraone. Solo nel vangelo di Matteo Gesù è salvato dalla strage degli innocenti. Quindi, è un altro parallelo con Mosè. Mosè libera dalle "dieci piaghe" d’Egitto che sono le dieci azioni che procurano morte. Nel vangelo di Matteo noi abbiamo dieci segni (il vangelo non li chiama miracoli), che invece di dare morte, danno vita.

Mosè passa quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare e bere. Gesù, nel vangelo di Matteo, passa lo stesso tempo nel deserto senza mangiare e bere.  

Mosè sale sul monte per promulgare i dieci comandamenti. Gesù, in  Matteo, sale sul monte dove avvenne la trasfigurazione, ma Luca, nel suo vangelo narra che Gesù parla in pianura: a chi dei due dobbiamo credere? Quindi, il monte non è un particolare geografico o storico, ma teologico.  I vangeli sono testi teologici e non vanno interpretati come storielle.

Nell’antico Israele ci sono, da un lato, le antiche beatitudini che sono i dieci comandamenti, e dall’altro, una preghiera ebraica che era una sorta di credo, lo "Shemà Israel" ("Ascolta Israele"). Nel vangelo, Matteo al cap.5 presenta le beatitudini di Gesù e al cap. 6 presenta la preghiera del Padre Nostro (tra l’altro mal tradotta).

Allora, come nell’Antico Testamento esistevano i "dieci comandamenti" e lo  "Shemà Israel", nel vangelo esistono le "beatitudini" e il "Padre nostro" che non è solo una preghiera da ripetere in automatico, ma è la formula di accettazione del programma di Gesù  compendiato nelle "le beatitudini".

Inoltre, Mosè muore sul monte Nebo, e solo nel vangelo di Matteo, Gesù appare su un monte (anche questo ha un significato teologico e non geografico).

Cosa vuole dire Matteo con tutto questo? Che Gesù è completamente diverso da Mosè. Certamente è in linea, ma con quale tradizione dell’antico Testamento? Del Dio della creazione?  Dei messaggi dei profeti?... Per esempio, nel Vangelo di Matteo (9,13) per due volte viene citato un passo bellissimo del profeta Osea (6,6): "Misericordia voglio e non sacrificio". E' un Dio che non ha nulla in comune con il Dio degli eserciti dell’Antico Testamento. Gesù annuncia un Dio di amore e coloro che realizzano il suo programma non come singoli ma come gruppi nella comunità, sviluppano già sulla terra una qualità della vita che non si interrompe con la morte. 

Questo ci fa capire che un conto è vivere il vangelo, cioè l’amore, e un conto è leggerlo e capirlo perché ci  vuole chi le spiega queste cose. All’epoca, i testi sono stati scritti con tutta una serie di tecniche letterali e riferimenti all’Antico Testamento. D’altronde nella chiesa cristiana primitiva la percentuale di analfabetismo era altissima e c’era la figura del lettore, cioè del teologo che leggeva alla comunità (e non al singolo) spiegando esplicitamente i vangeli perché  non avessero difficoltà a capirli.  Pertanto, in origine i vangeli sono stati scritti in greco, poi successivamente tradotti in latino e questo ha creato molti problemi di comprensione. Ma oggi non si hanno più alibi per non capire perché ci sono molte persone, tra cui i teologi Josè Maria Castillo, Alberto Maggi, ecc., che queste cose le dicono in modo chiaro. Gesù è la voce del Padre, è Colui che trasmette il progetto del Padre che è la felicità che si costruisce concretamente su questa terra insieme agli altri come gruppo di persone nella condivisione, e non facendo penitenza per i peccati in attesa poi dell’aldilà, come ci hanno insegnato. Il Dio di Gesù non vuole nessun culto per Sé. L’Eucarestia non è un atto di culto a Dio, ma è un momento in cui il Padre scende tra noi  e nell’Eucarestia ci dà il nutrimento per la vita. Quindi, vivere l’Eucarestia come culto a Dio è qualcosa che non corrisponde al progetto di Gesù. L’Eucarestia è Dio che fa qualcosa per noi che, a nostra volta, dobbiamo prolungare il Suo amore agli altri. Gesù  ha tolto il sacro dal tempio e l’ha trasferito nella nostra vita quotidiana, nella dignità di ogni uomo e ogni donna. Quindi, Gesù non è morto per i nostri peccati come ancora molti credono, ma è stato ucciso dal potere politico romano dietro denuncia del potere religioso giudaico. Dio Padre non poteva volere il sacrificio del Figlio.

Le beatitudini  sono otto. La prima e l'ultima: "Beati i poveri nello spirito, perché di essi è il regno dei cieli" e : "Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli" hanno la seconda parte del verso  uguale ("perché di essi è il regno dei cieli"). Questa è una tecnica letteraria e c'è il verbo  al presente.

Poi abbiamo la prima triade che sono gli effetti della beatitudine dei "poveri nello spirito" sul mondo, e la seconda triade che sono gli effetti delle beatitudini sulla comunità. Nell’ultimo versetto troviamo la condizione dei "perseguitati" che sono i poveri, cioè le persone che scelgono di condividere. Quali sono le beatitudini? 

"Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli"...

Usando il verbo al presente, la beatitudine si riferisce a quello che bisogna fare sulla terra e non a ciò che sarà dopo la morte.  Chi sono i "poveri in spirito"? (nel testo "poveri per lo spirito"). I poveri, non vanno intesi come quelli che hanno povertà e miseria nella loro vita, ma come quelli che aderiscono al progetto di Gesù e scelgono di condividere quello che hanno insieme agli altri nella comunità, per il benessere di tutti. Come singoli non si riesce a realizzarlo in quanto il  vangelo non incide solo sulla realtà dello spirito, ma incide anche nella concretezza della realtà che viviamo. I "Cieli" è un sinonimo che gli Ebrei usavano per chiamare Dio perché era proibito nominarLo . Il "Regno" significa che Dio esercita il suo essere Re solo ed esclusivamente amando. Queste sono le basi per poter realizzare le altre beatitudini. I poveri, le comunità che scelgono di condividere, permettono a Dio di essere Padre. L'unica contrapposizione a Dio è "Mammona", cioè il denaro, oggi diremmo il capitale. Il Papa nella "Laudato si'" dice che il sistema capitalistico in atto uccide.

La prima triade:

1) "Beati quelli che saranno nel pianto perché saranno consolati"....

Qui abbiamo tutti i verbi al futuro che si riferiscono all’impegno che richiede la scelta di condivisione con gli altri come modello di vita comunitaria. Il "pianto" non è un versare lacrime, e il significato profondo del verbo "consolare" è  quello di eliminare alla radice le cause della sofferenza degli oppressi, e non quello di dare una pacca sulla spalla per confortare.  

2) "Beati i miti perché erediteranno la terra"...

E' la più difficile da capire perché i "miti" non sono i tranquilli, ma sono i diseredati (cfr. il salmo 37), cioè coloro che hanno perso la terra e recuperano la dignità del lavoro per poter sopravvivere.

3) "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati"...  

La "giustizia" è riferita a Dio, giusto perché fedele nell’alleanza con l’uomo e non perché premia o condanna. Il messaggio di Gesù non è una religione del merito. L'Eucarestia, per esempio, non è un premio per i buoni, ma una medicina per chi sta male. Matteo usa il verbo "saziare" e non "nutrire" solo due volte: qui e nel racconto della condivisione del pane e dei pesci, il che significa che le cose sono collegate: la nostra fame e sete di giustizia sarà saziata se saziamo quella degli altri, non in astratto,  ma concretamente nella condivisione.

Questa è la prima triade che riguarda la comunità. La seconda triade presenta le conseguenze sulla comunità e la risposta di Dio.

4) "Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia"...

Nella Bibbia la "misericordia" non è un sentimento, ma un atteggiamento concreto e non teorico di chi aiuta gli altri sporcandosi le mani. Troveranno misericordia anch'essi perché creano un clima di solidarietà tra le persone. Quindi, intervenire concretamente non vuol dire pregare perché Dio mandi... la pioggia, ma adoperarsi, in prima persona, per esempio, per i cambiamenti climatici.

5) "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"...

Il termine "puro" è stato sempre riferito all’ambito sessuale, ma non c’entra nulla perché nel linguaggio biblico è associato alla mente. E' "puro" chi è trasparente. Nel messaggio di Gesù è "puro" colui che vive concretamente nella condivisione con gli altri.

"Vedranno Dio" indica una percezione profonda dell’esperienza di amore con Dio che non si vede con gli occhi, materialmente, ma la si vive realmente nel proprio intimo. La resurrezione, per esempio, non è stata vista materialmente. Se ci fosse stata una telecamera sul sepolcro, non avrebbe registrato nulla. I racconti della resurrezione sono racconti di esperienze reali, ma non di tipo fisico. E' come l'amore che c'è, ma non si vede. Gesù parlava agli Ebrei di resurrezione secondo il concetto che loro ne avevano, però sappiamo bene che noi continueremo a vivere oltre la morte, ma non fisicamente... Quindi "vedere Dio" vuol dire fare esperienza di Dio.

6) "Beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio"...

Nel senso biblico la "pace" è lo "shalom", l'essere felici di impegnarsi per il benessere dell’uomo. Quindi, se noi incarniamo il progetto di Gesù,  il Padre ci riconoscerà come figli.

Alla fine troviamo:

"Beati i perseguitati perché avranno giustizia, perché di essi è il regno dei cieli"...   

Si ricollega alla prima beatitudine. I perseguitati sono i poveri per lo spirito, quelli che hanno fatto la  scelta di aderire fedelmente al programma di Gesù che devono sapere di andare incontro a delle difficoltà.

"Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi"(Gv 15,19)...  Questo li rende pienamente felici perché il Padre si prende cura di loro.

La "giustizia", quindi, è la fedeltà a Gesù il quale ha detto: "Il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18,36), intendendo non che il Suo regno è il paradiso, ma che non appartiene a quest'ordine ingiusto che vige nella società. Infatti, dice pure: "Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo" (Gv 15,19), cioè: "Non dovete sposare la logica del suo sistema perverso" (che oggi è il capitalismo - come dice il Papa).

Queste sono le otto beatitudini. Non esiste uno spiritualismo astratto, tutto deve convergere sull'impegno per la liberazione dell'uomo. Il resto è ritualismo.

Il Vangelo, purtroppo oggi è sconosciuto. Gesù non è venuto per insegnarci verità di fede. Non gli importa tanto il rapporto con Dio quanto quello con gli altri e ci ha lasciato un comandamento nuovo che non è un "comandamento": quello di amarci gli uni con gli altri con l’amore del Padre, come Lui ci ha amati.

Questo  in sintesi è il progetto di Gesù che diventa poi forza e non oppio dei popoli com’è stato detto, ma può diventare veramente una scossa di adrenalina per noi.

 

ANTONIO MAIONE:

 

La scuola o ha il compito di abbracciare... l’eresia di Gesù o è fallimentare. Pertanto, o la scuola fa il processo all’obbedienza intendendo per tale la sottomissione, l'acquiescenza, la situazione di rinuncia alla propria responsabilità, o la scuola non ha efficacia in questo periodo storico.

Il processo all’obbedienza come conformità e acquiescenza al potere dominante nella società, non basta. Anche la disobbedienza può essere una sottrazione di responsabilità se non si contrappone un orientamento fondato sul valore della realizzazione dell’uomo. Quindi, non possiamo fare il processo all’obbedienza e poi facciamo la disobbedienza solo per farla. Il processo all’obbedienza deve essere strettamente collegato con la proposta di un valore, ed il valore della scuola è, appunto, l'umanizzazione che è premessa per la divinizzazione (Theilhard de Chardin).

La scuola - diceva Don Milani - siede tra il passato e il futuro e deve aver presente queste due categorie e parlare anche della storia contemporanea e non solo di quella del passato. Oggi abbiamo la  dittatura massmediale che sta diventando la rovina dell’umanità perché elimina la privacy che è la dignità nell’autostima del soggetto. Quando il soggetto non ha più autostima perché è diventato materia di commercio, non c’è più nessuna finalità nella scuola per quanto attiene il recupero del senso della vita.

C’è una bella frase di Don Milani: "Il processo all’obbedienza svela il senso profondo della vita come anima segreta del progresso spirituale, culturale e politico dell’umanità”.  

La politica è  la forma più alta dell’amore nella concretezza storica. Quando Don Milani fu chiamato più volte dall’Arcivescovo Ermenegildo Florit, ebbe il coraggio di dire: "Eminenza, tra me e Lei c’è una grande differenza: che io sto cinquant’anni avanti, Lei sta cinquant’anni indietro. Il divario è di cent’anni…".

Il problema di fondo è che oggi la scuola è in crisi perché a cominciare dall'alto, i ricercatori devono sottostare ad un ente di controllo per cui non sono liberi. Chi fa la riforma della scuola, la fa in modo tale da renderla ancora maggiormente un... sarcofago.

L'uomo di oggi si salva solo se ha il coraggio di fare la scuola in prima persona. Andando o non andando a scuola, se non si sveglia dal sonno, viene manipolato in un modo così straordinariamente disumanizzante che dopo non c'è più rimedio.

Questo avviene anche nella Chiesa dove si continua a perpetrare una ritualità che non ha più senso.

 

 

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